Jody era bella, bellissima.

Di origini svedesi era giovane, alta, con un viso di porcellana e un fisico da mannequin.

Però era stupida. Forse è un giudizio troppo severo, in fondo era solo un’ingenua ragazza con le sembianze di una regale principessa.

All’epoca amavo due cose: Jody e i miei sigari cubani.

Qualche mese prima eravamo stati al cinema, davano “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.

Fu conquistata! Da allora cominciò ad interessarsi alle creature celesti e con quel cervellino bislacco approfondì l’argomento al punto da convincersi fermamente dell’esistenza degli Angeli.

Ogni evento, ogni accadimento era, a suo dire, pilotato, supportato a volte incoraggiato o frenato da questi custodi delle nostre vite.

Quell’estate del 1988 alloggiavamo temporaneamente in un agriturismo a conduzione familiare.

Un pomeriggio, ero da poco rientrato dopo aver concluso un’importante udienza ed ero di umore pessimo. Non mi ero neppure tolto la toga, stanco e innervosito dalla piega che aveva preso il dibattimento; speravo in una serata rilassante.

Si concluse invece con una lunga risata liberatoria, grazie alla buffa smorfia che comparve sul viso della mia piccola Jody in seguito ad un esilarante equivoco.

Mentre ordinavo un aperitivo pregustando mentalmente il sapore del tabacco che presto avrebbe invaso il palato, un gridolino stridulo mi fece voltare di scatto: Jody stava afferrando una piuma oscillante nell’aria e con voce estasiata illustrava ai presenti quella prova incontrovertibile dell’esistenza delle divine presenze.

Il cameriere, pensando fosse una burla, le rispose allegro “il suo angelo sarà servito, ripieno, domani per cena”.

Nella cucina al piano rialzato un’inserviente era intenta a spennare un’oca.