Prospettiva

Dicono che i vecchi dormono poco.

Io dormo poco, ma non ne soffro eccessivamente. Quando la gettata del tempo diventa più breve, è inutile sprecarla nel sonno.

Anche stamattina, come ogni nuovo giorno, mi sono svegliata alle cinque. Ho preparato la colazione, ascoltato il primo giornale radio, lavato le verdure e riassettato il letto.

Sono le 7,30, il momento più atteso: in estate è piacevole starmene seduta qui, sul balcone, circondata dalle variopinte petunie e dall’intenso profumo del caprifoglio.

Davanti a me il piccolo palcoscenico della vita sociale apre il sipario. Tapparelle che si alzano, tram che sferragliano carichi di pigiata umanità, fragranza di pane appena sfornato (qualcuno dorme meno di me), l’edicola già adorna di bacheche, libri, quotidiani e riviste.

La vecchia casa di ringhiera prospiciente al mio affaccio ferve di movimento. Da anni, sui suoi lunghi ballatoi, osservo lo scorrere del tempo: dai fiocchi rosa e azzurri della vita che nasce al viola dei paramenti funerari dell’ultimo tratto. Nel mezzo, le varie generazioni che crescono, con le loro evoluzioni e i passaggi obbligati per diventare grandi.

Dicono che i vecchi vivono di ricordi.

E’ vero, la memoria si aggancia a residui che fanno capolino e ti riportano indietro nel tempo, concedendoti di collocare le immagini dell’oggi in una rappresentazione prospettica che affonda le radici nell’ieri.

Amo la mia casa e il mio quartiere. Ci abito da oltre quarant’anni e sono tante le storie che potrei raccontare di questa piccola comunità, molte delle quali frutto dell’immaginazione, unicamente dedotte dalle trasformazioni dei volti e dalla costanza delle abitudini, perché non sono solo i vecchi ad essere affezionati ai rituali.

Il sig. Gino, per esempio, – non conosco il suo vero nome ma mi piace chiamarlo Gino – l’ho promosso a custode del rione. E’ conosciuto come lo scemo del villaggio. Pover’uomo, non c’è giorno che non l’abbia visto stazionare immobile ai quattro angoli dell’isolato, sempre con lo stesso vestito, gli occhiali dalle lenti spesse e i capelli color paglia che gli scendono disordinati sulla fronte. Nella mia testa l’ho soprannominato l’uomo-girasole, perché in inverno segue come una meridiana la traiettoria del sole, probabilmente è freddoloso. Non è mica vero che il sig. Gino è scemo, è solo un po’ strampalato, credo sia convinto di essere un carabiniere e quindi vigila sulla sicurezza del suo quartiere. Quando arriva il buio, come i girasoli, si richiude su se stesso e va a dormire.

Dicono che i vecchi non hanno fantasia. La verità è che nessuno li ascolta e quindi è impossibile conoscere ciò che si agita nella loro mente.

A me, per esempio, diverte tantissimo immaginare le biografie altrui.

Modestamente, sono anche bravina.

Si imparano molte cose osservando i vari personaggi impegnati sul proscenio.

Ai coniugi del secondo piano della casa di fronte, tanto per citarne una, avevo diagnosticato una breve vita di coppia, perché lei aveva sempre il viso triste e la sua vicina, appena lui usciva di casa, s’incamminava lungo il ballatoio, suonava il campanello e passava tutta la mattinata in sua compagnia. Terminata la visita, il viso della sposina che la salutava sull’uscio era sempre coperto dal fazzoletto. Succede che la vita matrimoniale si riveli assai diversa dalla fase dell’innamoramento e tant’è, a un certo punto lui non si è fatto più rivedere.

Un altro dei passatempi preferiti è fantasticare la professione dei miei vicini e allora mi concentro sull’abbigliamento, gli accessori, gli orari e i mezzi di trasporto usati (questi ultimi rivelano molte cose sul ceto sociale).

Certo, non ci prendo ogni volta.

Proprio la settimana scorsa ho assistito a una scenetta che mi ha indotto a una previsione troppo frettolosa.

Un giovane uomo, alto, di bell’aspetto e un dossier sotto il braccio – senz’altro un importante dirigente – mentre apriva l’auto, una Mercedes nera tirata a lucido, ha urtato una graziosa ragazza dai capelli rosso fulvo con un tubino stretto e una camicetta di pizzo. Una sua collega? Davvero una bella coppia visti insieme. Da quassù mi è parso si siano guardati e forse anche scambiati un sorriso. Poi lei si è intrufolata di corsa dal fornaio e lui, salito in macchina, ha schiacciato due volte brevi il clacson. “No, non si fa così”, mi è scappato detto, come se la mia voce potesse raggiungerlo, “lei è così gentile, probabilmente ti sta comprando il croissant da mangiare in ufficio col caffé!” .

E infatti lei esce con un sacchetto tra le mani, un po’ trafelata. Ma che fa? Non sale? No, oltrepassa l’auto e svolta l’angolo. Lui risuona il clacson più a lungo, innervosito.”Ma porta un po’ di pazienza!” mi viene da fargli notare. E invece no, la mia ipotizzata storia d’amore, puff, svanisce come un bolla di sapone, perché un’altra giovane donna – meno bella della rossa – apre la portiera e si siede accanto a lui, con un’espressione un po’ rabbiosa per via delle sollecitazioni sonore, a quell’ora poco gradite anche dagli altri abitanti.

Ecco, sicuramente con la rossa non sarebbe successo, anzi, lei, salendo sull’auto, l’avrebbe preso un po’ in giro e dopo un bacio, lo avrebbe imboccato con l’angolo del cornetto ancora caldo e lui,appagato, avrebbe immediatamente scordato quel risibile ritardo e iniziato a dibattere sulla riunione di lavoro . Ebbene sì, lo so, sono una vecchia sciocca romantica. Mi piacerebbe che le storie finissero bene.

Dicono che i vecchi sono ripetitivi.

Probabile. Ma poiché io non ho nessuno a cui raccontare le mie storie, vere o inventate che siano, allora trascorro il mio tempo ricordandole e raccontandole a me stessa. Forse tralascio qualche particolare, indubbio che insista su certi aneddoti o, addirittura, ne cambi il finale. Chissà, evidentemente per accorgermi della mia ripetitività, prima o poi, magari, le dovrò pure scrivere.

Esercizio: Trasforma in racconto la poesia Prospettiva di Wislawa Szimborska

Si sono incrociati come estranei,
senza un gesto o una parola,
lei diretta al negozio,
lui alla sua auto.

Forse smarriti
O distratti
O immemori
Di essersi, per un breve attimo,
amati per sempre.

D’altronde nessuna garanzia
Che fossero loro.
Sì, forse, da lontano,
ma da vicino niente affatto.

Li ho visti dalla finestra
E chi guarda dall’alto
Sbaglia più facilmente.

Lei è sparita dietro la porta a vetri,
lui si è messo al volante
ed è partito in fretta.
Cioè, come se nulla fosse accaduto,
anche se è accaduto.

E io, solo per un istante
Certa di quel che ho visto,
cerco di persuadere Voi, Lettori,
con brevi versi occasionali
quanto triste è stato.



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