Delusione d’amore

A Fiesole si incontrano la Contessa Ernesta, aristocratica nobildonna decaduta, ed Elisa.

Elisa: Contessa Ernesta!

Contessa Ernesta: Elisa!

Elisa: da quanto tempo non ci vediamo!

Contessa Ernesta: Un anno, oggi, primavera. Eravamo a Firenze

Elisa: Sì, ricordo … tu avevi la febbre

Contessa Ernesta: La febbre, sì quella. Era febbre d’amore

Elisa: Non mi avevi detto niente: Chi è lui? Ma perché quella faccia?

Contessa Ernesta: Ebbene, siediti e stai attenta. Ci eravamo conosciuti a febbraio, all’Accademia delle Belle Arti. Lui era così bello, così fiero. Sembrava un dio greco. E quell’accento così mediterraneo!

Guarda, ad aprile, con questo anello d’argento mi aveva scritto un breve biglietto che ancora conservo.

Mio amato bene,

I tuoi occhi non sono occhi: sono stelle

I tuoi capelli non sono capelli: sono spighe nel vento

Con te vorrò sempre restare

Falso, verme, ipocrita.

Già a luglio avevo capito di non aver più una così grande ascendenza.

A fine agosto ha compiuto gli anni ed io gli ho regalato un cestino di fichi.

Oh Elisa, come si fa ad amare un uomo che, con un fico in mano, lo guarda e declama: “Il colore di questo frutto dimostra la sua totale acerbezza!

Intellettuale fallito!

A settembre, credevo di essere così romantica … L’ho invitato per una cena in giardino, sotto il cielo azzurro-viola dell’estate che finisce …

Mentre ero in cucina per sfornare il soufflé di erbette, sento una voce sbraitare: “Quando si fa il pieno in questa casa! La mangiatoia è vuota!”

Volgare! Le sue parole sembravano tagliate con l’accetta.

Oh, ma io ho reagito sai! Sono uscita e gli ho urlato: “Sei proprio un maiale; guarda, ti sei anche messo una maglietta tutta sporca!

Lui si è alzato di scatto e, mentre andava verso la porta, a metà corridoio si è voltato e con disprezzo mi ha detto: “ E tu saresti una contessa? Ma guardati, mi fai schifo, sembri proprio una vecchia e deforme badessa!”

Credevo di morire.

Sono andata ad Empoli, da zia Camilla. Avevo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse, che mi capisse.

Invece, solo un gran cicaleccio di provincia sulle disavventure della contessa Ernesta. Che vergogna!

Zia Camilla, tu sai, è una donna pratica, efficiente.

Appena iniziavo a fare un accenno alla storia, ecco sgorgare questa insulsa acquetta dai miei occhi …. E lei per consolarmi diceva: “Ma perché piangi, vedrai che dopo passa

Dopo, dopo, dopo … ma dopo quando?

Oh Elisa, lo so che tendo alla tragedia, ma io non posso più restare qui ad accendere in continuazione questo pazzesco dolore. Divento folle.

Spesso penso che ora posso fare solo una cosa: ritirarmi per sempre dalla scena.

Usare 20 parole per costruire un racconto: scena, acquetta, erbette, Firenze, ascendenza, acerbezza, efficienza, accento, badessa, accademia, contessa, accetta, Empoli, maglietta, cicaleccio, capelli, febbre, stelle, argento, mangiatoia

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