Il gatto soriano (da: Il barone rampante, Italo Calvino)

Perché quel gatto, in tutto uguale a un gatto, era un gatto terribile, spaventoso, da mettersi a gridare al solo vederlo. Non si può dire cosa avesse di tan­to spaventoso: era una specie di soriano, più gros­so di tutti i soriani, ma questo non voleva dire niente, era terribile nei baffi dritti come aculei d’i­strice, nel soffio che si sentiva quasi più con la vista che con l’udito uscire di tra una doppia fila di denti affilati come uncini; negli orecchi che erano qualco­sa di più che aguzzi, erano due fiamme di tensio­ne, guernite d’una falsamente tenue peluria; nel pelo, tutto ritto, che gonfiava attorno al collo rattratto un collare biondo, e di lì si dipartivano le strie che fremevano sui fianchi come carezzandosi da sé; nella coda ferma in una posa così innaturale da parere insostenibile: a tutto questo che Cosimo aveva visto in un secondo dietro il ramo subito la­sciato tornare al proprio posto s’aggiungeva quello che non aveva fatto in tempo a vedere ma s’imma­ginava: il ciuffo esagerato di pelo che attorno alle zampe mascherava la forza lancinante degli unghielli, pronti a scagliarsi contro di lui; e quello che vedeva ancora: le iridi gialle che lo fissavano tra le foglie ruotando intorno alla pupilla nera; e quello che sentiva: il bofonchio sempre più cupo e inten­so; tutto questo gli fece capire di trovarsi davanti al più feroce gatto selvatico del bosco.

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