Terminata la preparazione dei panini per i due gemelli in occasione della seconda giornata del Green Festival, Giuliana si affrettò a prepararsi per l’accompagnamento dei bambini alla pineta Bosco Verde.
Con il marito Sergio aveva molto apprezzato il weekend dedicato all’educazione ecologica organizzato dal Comune per la fine dell’anno scolastico.
Filippo e Camillo si erano scatenati il giorno prima presso l’agriturismo di Cascina Rupea e, ancora eccitati, dalle sei di quel mattino rumoreggiavano per casa imitando i versi degli animali della fattoria, nell’ansiosa attesa di partecipare al laboratorio di acquerello previsto per la domenica.
Giuliana si lavò i denti riordinando le idee per l’organizzazione della giornata, dei pasti e del percorso stradale per raggiungere il luogo.
Rapidamente prese il deodorante e si spruzzò le ascelle e… si immobilizzò, sgranando gli occhi incredula: riguardò il suo seno riflesso nello specchio e rivide l’inaudito.
Sulla sua mammella sinistra era spuntato un secondo capezzolo. Turgido, eretto, comodamente adagiato in un’oasi rosso vivo, era pressoché identico all’originale, appena un po’ appartato verso la piega mammaria.
Giuliana provò a toccare quella protuberanza, ma non avvertì alcuna sensazione o dolore.
“Calmati e rifletti, ieri non c’era nulla”, si disse più che mai perplessa. Però, a pensarci bene, erano arrivati a casa tardi e sfiniti. Si era gettata sotto la doccia e con l’accappatoio indosso aveva caricato la lavatrice, lavato i piatti e coricata a letto. Non ricordò di essersi osservata, ma sicuramente venerdì il suo seno non presentava alcuna anomalia, avendo lei espletato le operazioni di igiene in totale normalità.
“Che sia possibile che nasca un nuovo capezzolo? Deformità del genere, quando si manifestano, sono presenti alla nascita, non a 45 anni”.
Ripassò il dito percorrendo l’aureola rossa e, in quel preciso momento, lo avvertì: premendo leggermente distinse nettamente un nodulo dalle dimensioni simili al nocciolo di una prugna.
Inspirò profondamente.
“Non farti prendere dal panico, un tumore non può formarsi in 24 ore”, mentre la sua mente andava all’ultima mammografia risalente a due anni prima. Le tornarono alla memoria i racconti di una conoscente la cui zia era morta per una forma di tumore della pelle esploso a grappolo sul seno. Un brivido la scosse. Era solo l’inizio di un processo di maturazione di un corpo estraneo che nei prossimi giorni sarebbe diventato più aggressivo?
Pensò agli undici anni di Filippo e Camillo e chiuse gli occhi. Non li avrebbe visti diventare grandi, non avrebbe condiviso i loro successi, le delusioni e gli amori, non sarebbe mai diventata nonna. E Sergio? Il suo lavoro, come oggi, lo portava in giro per il mondo. Come poteva accudire i figli senza abbandonare la brillante carriera? E che cosa sarebbe successo a lei? Mastectomia, periodici cicli di chemioterapia, perdita dei capelli, allettamento e infine, terminale, nella camera di un hospice.
Andò a prendere la lente di ingrandimento e osservò da vicino quella neoformazione. Il “capezzolo” non era sanguinante e l’aureola rossa perfettamente circolare, come disegnata da un compasso.
Vide alla sua base dei peletti neri e cercò di setacciare, fra le frammentarie nozioni di consumatrice di riviste salutiste, altri tipi di malattia.
“Potrebbe essere una fistola, mio papà ne ebbe una sulla schiena da cui spurgò di tutto. Però aveva anche la febbre alta … Oddio, che sia un lupus erimatoso che ha iniziato ad infiammare la pelle partendo proprio dal seno? E se fosse un melanoma? In tutti i casi, mi attende una morte certa”.
“Mamma, sei pronta?”
Già la gita. Doveva sbrigarsi, non poteva mandare tutto all’aria, di domenica per giunta. Chi avrebbe trovato al Pronto Soccorso? Decise di archiviare il pensiero. Indossò reggiseno, top e pantaloncini e uscì dal bagno.
Durante la giornata cercò di scacciare dalla mente qualsiasi probabile diagnosi. Sulla via del ritornò però apparì fulmineo e ottimista un ricordo.
Anni prima sulla sua coscia era emersa un’escrescenza a forma di piramide che la dermatologa aveva raso al suolo con azoto liquido.
Alessandra era una brava professionista conosciuta durante le vacanze al mare e, negli anni, aveva risolto ogni problema di pelle della famiglia.
“Sarà una forma di corno cutaneo” convenì e la sola parola la tranquillizzò.
Anche se di domenica, telefonò ad Alessandra, scusandosi infinitamente, ma l’episodio accaduto non le dava pace. La sua interlocutrice rise divertita alla descrizione della nascita di un nuovo capezzolo, ma comunque avvisò che doveva sottoporre l’intruso a una visita, per capire di che cosa si trattasse.
“Ti va bene domani a mezzogiorno?”
“Assolutamente”, confermò Giuliana grata, ben conoscendo i tempi di attesa per una visita specialistica.
Il buio della notte filtrò tra sogni illusori e incubi e finalmente giunse il sospirato mezzodì del giorno dopo.
Mentre si spogliava raccontando la rapidità dell’evento, Giuliana si affidò alle parole dell’esperta che, mentre indossava i guanti di lattice, escluse sia il tumore che il melanoma.
“Probabilmente è un corno cutaneo che si è infettato e quindi si è gonfiato”, diagnosticò mentre preparava il lettino.
“Potrebbe essere un pelo incarnito o una fistola? Visto da vicino si notano dei peletti neri!”.
Alessandra la guardò, alzando un sopracciglio e con un “Vediamo” la invitò a sedersi sul lettino e posizionò una grossa lampada sul suo seno. Passò qualche secondo di profondo silenzio.
“E’ una bestia”, proferì.
“Cooosa??? Ma da che cosa lo capisci?”
“Perchè muove le zampe”.
Giuliana sentì mancare per un attimo il respiro. “Vuoi dire che una bestia è rimasta imprigionata sotto l’escrescenza e non riesce ad uscire?”
“Stenditi”, ordinò la dermatologa con una pinza in mano.
“Non riesco a toglierlo. Ora lo neutralizziamo”.
Un odore alcoolico e acre si sparse nella stanza.
“Non so cosa sia, non me ne intendo di insetti. Ti faccio male?”
“Un po’, ma è sopportabile”.
Giuliana sudava e oscillando tra sentimenti di pietà e orrore, immaginava uno scavo intorno a quella specie di porro per liberare l’insetto rimasto imprigionato dall’improvvisa emersione di una montagna.
Poi uno strappo energico e doloroso.
“Ecco fatto”.
Osservando la mammella martoriata Giuliana esclamò “Ma mi hai strappato anche l’escrescenza!”
“Vieni a vedere”. Su una garza giaceva non un pezzo di carne lacerata, bensì un animaletto il cui corpo, tanto spavaldo e gonfio quando si trovava sul suo seno, appariva ora inerme e appiattito.
“Probabilmente è una zecca. Ora ti fai dieci giorni di antibiotico e poi ti rivedo”, fu la conclusione di Alessandra.
Giuliana era allibita. Per almeno trentasei ore, se non di più, aveva nutrito quell’insetto capitato lì chissà come, forse caduto nella scollatura del top mentre era all’agriturismo. Nessuno avrebbe mai potuto spiegarglielo.
“Posso prenderlo?”.
“Sì, certo. Ora è morto”.
Mentre rincasava, Giuliana ripercorreva attimo per attimo la scoperta di quel guaio. Allora non erano fantasie quando le era parso che uno di quei peletti si fosse mosso! Ma chi poteva immaginare che stesse letteralmente covando una zecca in seno?
Ora doveva decidere se esibire quell’esemplare ai gemelli, tanto per restare in tema di educazione non solo ecologica, ma anche faunistica. Una cosa era certa: non si sarebbe più rivolta a loro con l’ammonimento “Non statemi appiccicati come una zecca”.
Poi optò per il silenzio.
Entrò in bagno e aprendo lo scarico dell’acqua vide inghiottire per sempre lo scomodo inquilino.

Ma quindi è tutto vero?? Accidenti…
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