Il signor V. era quel tipo di uomo che si suole definire “comune”, nel suo caso sarebbe più corretto il termine “banale” o, ancor meglio: la raffigurazione della banalità.
Non lo si poteva definire brutto, secondo i canoni classici, tuttavia risultava inespressivo, privo di linfa vitale. Un individuo tanto insignificante da risultare invisibile, un “mister cellophane”; quel tipo di uomo di cui, l’attimo seguente alle presentazioni, già non riesci a ricordarne il nome o il colore degli occhi o focalizzare se avesse il volto glabro o incorniciato da barba e baffi.
Svolgeva un lavoro d’ufficio, vestiva in modo scontato, mai un colore che andasse oltre le sfumature del grigio, mai un accessorio che si scostasse dalla classica figura del cinereo ragioniere.
Raramente prendeva la parola e in quelle insolite occasioni, fintamente modesto, soleva atteggiarsi a esperto dell’argomento in questione, qualunque esso fosse, esponendo vaghe teorie con piglio da saccentello. In pochi attimi i presenti, annoiati dal suo tedioso eloquio, si defilavano velocemente, indifferenti alla sua presenza.
Aveva una moglie il signor V. che rappresentava esattamente il suo doppio: né bella né brutta, anonima a tal punto che persino il suo corpo, dalle forme regolari, non suscitava alcun desiderio; pur senza particolari difetti evidenti, mancava di grazia, eleganza, sensualità e in particolar modo di personalità, quasi fosse privo di coscienza. La voce era stridula, tanto da rendere sgradevole anche semplicemente un suo saluto. Camminava oscillando in modo singolare al pari delle papere quando, in fila indiana, procedono verso uno specchio d’acqua. I suoi rari discorsi erano privi di consistenza, esattamente come la coppia di cui faceva parte.
La loro unica figlia aveva lo sguardo torvo, parlava poco, con lo stesso tono acuto della madre, apparentemente chiusa in un suo mondo privato.
I rapporti con i vicini, condòmini con i quali condividevano ormai da dieci anni l’immobile, si limitavano ad un frettoloso saluto di rito; nessuno poteva dire di conoscerli realmente. Mai si erano visti amici o parenti venire a far loro visita. Solo la domenica li si poteva scorgere mentre, tenendosi per mano, si recavano in chiesa.
Un giorno, nel totale silenzio, si udirono tre spari provenire dal loro appartamento, poi, solo quiete.
Nessuno riuscì a comprendere i motivi di tale gesto.
Qualcosa, sotto la cenere di quelle esistenze vuote, aveva continuato ad ardere.