(il seguito di “Cuore a pezzi” e “Delusione d’amore”)
Il lugubre rintocco della campana a morto fece rabbrividire Elisa.
Dall’altro lato della strada, quasi nascosta, guardava uscire il feretro dalla chiesa mentre, sul sagrato, una folla mesta porgeva l’ultimo saluto a quella bara coperta di gigli bianchi.
Stretta nel suo cappotto, con gli occhi lucidi, Elisa rincorreva le domande che si susseguivano ininterrotte: anche lei era responsabile di quella fine?, aveva omesso una provvidenziale azione di sostegno?, aveva tradito la sua amicizia?, poteva addirittura essere considerata un’istigatrice al disperato gesto?
Accanto a questi interrogativi si affiancavano l’autoflagellazione per la propria stupidità, le rimostranze per un’ingenuità ingiustificabile, la rabbia per una recidiva amorosa imperdonabile.
Eppure Giovanni le era parso così sincero, accorato, esaustivo nel suo racconto.
Non più di un anno prima, nella villa della contessa Errnesta, con reciproca sorpresa avevano scoperto di frequentare l’Accademia delle Belle Arti.
“Come ho potuto non accorgermi di te?” furono le sue parole, le prime di una cascata di mille altre in cui lei era letteralmente annegata. Giovanni aveva due occhi blu penetranti, ipnotici e lei non era l’unica a subirne l’influsso.
Dopo quel giorno, nell’arco di pochi mesi ci furono altri due ricevimenti alla villa ed Elisa, di solito poco avvezza a quel pubblico, non aveva mancato di partecipare, sapendo di incontrarvi Giovanni, efficace e brillante oratore cui tutti prestavano orecchie e soprattutto occhi.
Fu proprio in occasione di uno di questi appuntamenti che l’introvabile testo ”Il nudo nell’arte rinascimentale”, di cui Elisa era in possesso e Giovanni ricercatore, divenne pretesto per nuovi incontri galanti, in luoghi più appartati dell’affollata Villa Belfiore.
Elisa spesso era stata tentata di chiamare Ernesta, inconsapevole Cupido di quella nascente passione, ma le circostanze non avevano favorito questa confidenza.
Fu un puro caso venire a conoscenza di pettegolezzi poco lusinghieri verso una donna che, per Elisa, era stata quasi una seconda madre.
Caterina, domestica di Ernesta, andava spifferando che nella camera da letto della contessa era apparso un ritratto che raffigurava la nobildonna a corpo nudo, sdraiata su un sofà e con un velo trasparente a drappeggio sulle spalle e, pudicamente, a coprire le zone più intime.
Elisa non diede retta a quelle voci del volgo. Oltretutto, la contessa aveva raggiunto l’età in cui la forza di gravità rivendica le sue leggi ed era poco credibile raffigurarsela in tanto esibizionismo, lei, donna di stile e di buon gusto.
Ma il destino volle altrimenti e così Elisa, dovendo recapitare una missiva all’amica, il giorno in cui varcò la soglia della villa a un’ora troppo precoce per le abitudini della dama, venne accompagnata nella sua stanza, dove la trovò impegnata al trucco e, sopra il caminetto, vide troneggiare il dipinto “nature”.
“Ti piace? E’ un regalo di Giovanni!”.
Elisa raccolse un certo sussiego nelle parole di Ernesta. La scoperta fu più che sufficiente per sottoporre il giorno dopo il suo aitante corteggiatore a un serrato interrogatorio.
“Il ritratto di Ernesta? Certo che l’ho dipinto io. Voleva mettermi alla prova per raccomandarmi al Cavaliere Preziosi, che desidera, come atto di beneficenza, far affrescare il refettoriodel convento di Empoli. E mi pare abbia molto gradito!”.
Lo sguardo tuttavia era sfuggente e le sue parole non convinsero la giovanetta. Per giorni rimuginò tra sé e sé, dopo di che decise di prendersi del tempo per comprendere meglio i propri sentimenti.
Evidentemente quell’uomo ben conosceva la sensibilità femminile, perché non passava giorno in cui Elisa non ricevesse una lettera amorosa, di spiegazioni, di sdrammatizzazioni, di stupori per aver solo lontanamente immaginato una sua tresca amorosa con la rispettabile contessa.
Ed Elisa, che per la prima volta conosceva lo sconvolgimento del cuore, gli credette.
Ma il fato sa essere crudele. Elisa nuovamente sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Le ritornarono alla memoria le parole rabbiose e disperate di Ernesta a Fiesole, solo pochi giorni prima. Talmente sopraffatta dal dolore, non aveva nemmeno ricordato di essere stata lei stessa artefice dell’incontro tra Elisa e Giovanni e, nuovamente, l’aveva eletta come confidente del suo scandaloso segreto, del tutto noncurante delle impressioni che il racconto avrebbe potuto suscitare nella cara amica.
Per Elisa fu un ulteriore smarrimento: erano queste le modalità scelte dall’amante per sciogliersi da un legame di puro interesse? Trattando in modo volgare e villano una donna disposta a qualsiasi compromesso pur di mantenerlo nelle sue grazie?
Ma che uomo era? E, soprattutto, che donna era lei stessa a cadere in quella trappola di bugie e di inganni?
Il carro funebre lasciò il piazzale della chiesa.
Elisa si affrettò verso l’Accademia, cercando le frasi giuste per affrontare l’argomento con colui che ormai riteneva un assassino, non appena fosse rientrato dal suo sopralluogo al convento di Empoli.
Al primo piano, la porta dell’aula n. 6 era socchiusa. Ma non era lunedì, il giorno della lezione di nudo. Elisa, obbedendo a una voce interiore, spinse l’uscio quel tanto che le bastò per scoprire Giovanni impegnato a ritrarre una modella di mezz’età, languidamente sdraiata su un sofà con un velo trasparente a coprire spalle e pube.
Scosse la testa stupefatta: era la moglie del Cavaliere Preziosi.