Scrivete un racconto in cui siano presenti due personaggi coinvolti in una situazione significativa dell’esistenza.
Le gocce di pioggia battevano con violenza sui vetri della finestra, mentre un branco di nuvole color piombo si muoveva minaccioso sospinto da raffiche di vento. Nella stanza silenziosa la lampada sulla scrivania illuminava la pagina del 12 marzo dell’agenda di cuoio. Accanto alla lista dei pazienti una V vergata in rosso segnalava la progressione delle visite.
Con un sospiro la dottoressa Monteverdi appoggiò il capo sulla spalliera dell’alta poltrona, mentre lo sguardo indugiava sull’ultimo colloquio delle 16 previsto nella giornata. Un tuono improvviso la spaventò, suscitandole una sensazione di inquietudine di fronte a quel nome agganciato a un punto interrogativo simile a un cappio.
Il suono del campanello fu lieve. Nello studio di uno psicanalista anche il trillo di annuncio alla porta riveste un significato. C’è il suono lungo e insistente, che rivela un bisogno imperativo di soccorso; c’è il suono intermittente, simile all’ansia di chi pensa di aver schiacciato il tasto troppo debolmente e quindi lo preme di nuovo; c’è il suono veloce e deciso di chi ormai frequenta quello spazio da tempo; c’è il suono sottile di chi, dall’altra parte dell’uscio, si domanda se stia facendo la cosa giusta.
La dottoressa Monteverdi aprì la porta.
Un uomo sulla trentina le comparve d’innanzi avvolto in un pastrano beige. Dal copricapo impermeabile colore blu grondavano stille di acqua che, incerte sulla strada da imboccare, si arenavano tra i peli della barba. Una mano sorreggeva un ombrello visibilmente provato dallo sferzare dal vento, mentre l’altra stringeva il manico di una cartella di pelle marrone stragonfia, la cui fibbia di chiusura pareva sul punto di soccombere.
Entrato, Luca si guardò intorno alla ricerca di un portaombrelli. Il corridoio era ben illuminato, accogliente, con una sequenza di raffinate acqueforti in cornici dorate allineate lungo le pareti e una lunga fiorieria di ferro battuto riempita da ortensie blu e steli di lavanda essiccati.
“Lo lasci pure fuori”.
Luca si accorse in quel momento che sul lato destro, proprio sotto il campanello, era ben visibile un portaombrelli in rame brunito.
“Prego, si accomodi e, mi dica, che cosa la porta qui da me?”.
I due, seduti l’uno di fronte all’altra, erano separati da pochi centimetri, totalmente esposti alla reciproca osservazione.
Ora che si era tolto il soprabito e il cappello, il giovane uomo mostrava la sua magrezza resa ancora più evidente dai jeans attillati e dalla camicia a righe blu, stazzonata e sfilacciata sui polsini. I piedi battevano il ritmo dell’insicurezza, mentre il corpo in bilico sul bordo anteriore della sedia sembrava poco incline a trovare conforto nell’alto schienale. Barba e baffi piuttosto incolti riempivano il viso triangolare quasi a compensare l’incipiente calvizie, già annunciata dalle tempie sguarnite e dalla fronte che si andava allargando sopra l’arco delle sopracciglia sottili. Lo sguardo inquieto vagava, dubbioso se concentrarsi sulla sua borsa o sul paio di occhi che lo fissavano rassicuranti. Infine si decise, si chinò verso la cartella ed estrasse un libro dalla copertina usurata, da cui spuntavano innumerevoli marcatori colorati.
“Questo, dottoressa. L’ho letto e ho capito che dovevo incontrarla”.
Così dicendo iniziò a sfogliare le pagine dove il sottolineato delle righe, dei margini e dei paragrafi era molto più consistente di ciò che rimaneva intonso. Il testo era l’ultima pubblicazione della famosa psicanalista, un trattato complesso ma fondante della sua ricerca ancora in corso sulla complessità delle relazioni intersoggettive.
L’esordio di Luca sul suo personale orientamento alla psicanalisi derivato da erudite letture scientifiche cedette il passo a un racconto frammentato, permeato da opprimenti riflessioni sul senso della vita e sulla sofferenza causata da un femminile malvagio che gli impediva di liberare la sua energia e di poter finalmente esprimere la sua identità.
“Come le dicevo poco fa, ho molto studiato prima di prendere questa decisione. Non ho perso una delle sue pubblicazioni e sono affascinato dalle sue argomentazioni. Sento che solo una persona come lei può aiutarmi a uscire da questo groviglio in cui è precipitata la mia vita”.
Adesso gli occhi di Luca erano fissi sul volto della psicanalista, interroganti e supplichevoli. Sotto le ascelle si allargavano due macchie di sudore.
“Ho ascoltato le sue parole, ma le devo subito dire che attualmente non ho la possibilità di accogliere la sua richiesta. Posso solo invitarla a un prossimo colloquio fra un anno”.
“Non credo di potercela fare”, sussurrò Luca, attonito per quella risposta.
“Il suo Io è abbastanza strutturato per resistere” fu il responso gentile ma fermo della dottoressa Monteverdi. “La segno per il 12 marzo del prossimo anno con un punto di domanda. Il tempo ci saprà dire”.
Ebbene, il 12 marzo del nuovo lunario era giunto, portando con sé l’unica certezza di un tempo meteorologico instabile e bagnato esattamente come l’anno precedente. Quell’interrogativo dell’ultima seduta restava ancora un mistero. Silvia, a distanza di dodici mesi, aveva intrapreso un nuovo itinerario professionale che la allontanava in modo radicale dal setting psicanalitico, portandola ad esplorare un tipo di ricerca trascendente cui solo un numero limitato di persone poteva collaborare, a conclusione del tragitto terapeutico avvenuto con lei.
Immersa in questi pensieri, Silvia cercava fra sé e sé le parole giuste per fornire una spiegazione plausibile alle richieste di nuovi potenziali clienti, ben consapevole della possibilità di ferire una sensibilità già compromessa dagli eventi della vita. Pure, sul piano dell’evoluzione del suo pensiero, restava determinante il principio del fenomeno intersoggettivo, ovvero della felice condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni, così come più volte aveva scritto: “quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa”. In questo caso era il proprio bisogno di sentirsi libera a prevalere: la scelta era compiuta, si trattava di agire.
E fu lì, alle 16 in punto, che sentì il campanello squillare con un certo vigore.
La scena si ripeté come il 12 marzo precedente, con la differenza che l’ombrello era già accomodato al suo posto, sul lato destro della porta. Berretto impermeabile intriso d’acqua e borsa rigonfia pronta ad esplodere come il panciotto di un pingue commendatore richiamavano un’immagine già vista.
“Si ricorda di me?”, ancora sul limitare dell’uscio Luca non disse nemmeno buongiorno.
“Certamente”, rispose la psicanalista, facendogli strada verso lo studio.
“Ho cercato di resistere con tutte le mie forze. La situazione non è cambiata dall’anno scorso, ma ho avuto fiducia nelle sue parole e quindi eccomi qui, stessa ora, stessa data”. Le parole sgorgavano impetuose, liberate dalla lunga prigionia prescritta da quel bizzarro colloquio appartenente ormai al passato. Sogni, lacrime, disturbi psicosomatici, ire e intensa vita politica avevano riempito le pagine di un’esistenza complicata, ma adesso, finalmente, tutto poteva essere raccontato, descritto, analizzato, interpretato, compreso.
Dopo quindici minuti Luca era già sul portone dell’ottocentesco palazzo milanese. In tasca un biglietto da visita e nelle orecchie l’eco delle parole di congedo della dottoressa Monteverdi: “Le do il nominativo di un fidato collega che certamente potrà essere un ottimo compagno di viaggio nella sua ricerca di sé”.
Luca, di nuovo bloccato su una soglia, sentì di portare l’intero peso del mondo sulle spalle e alzò gli occhi al cielo colmi di una sconsolata disperazione. Contemporaneamente dalla finestra del terzo piano uno sguardo fissava un orizzonte più lontano. Dietro quel branco di nuvole, ora spostato ad ovest, spuntava uno squarcio di azzurro.
un bel racconto biografico. Fissa davvero, come diceva il compito di scrittura, un momento esistenziale. Anzi: un anno di esistenza
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