E’ giunto il momento di metterci un punto. Nel senso del punto fermo, quello che va a capo, quello che chiude un periodo prima di passare ad altro argomento.
Odio quel punto che non richiede di inserire uno spazio, che gioca ad alternarsi fra singole lettere. Odio il punto delle abbreviazioni.
Attenta alla mia stessa essenza e brucia ogni mia libertà.
Potrò, finalmente, dar voce ai miei diritti? Di esistere nelle mie diverse lunghezze senza dover più incespicare nei punti che mi (s)troncano o sentirmi contratta in un’accozzaglia dura e impronunciabile di consonanti troppo promiscue?
Senza dovermi scervellare per capire se s.s. sta per strada statale, sua santità o società semplice; se p.s sta per pubblica sicurezza, post-scriptum o previdenza sociale, se a.c. sta per anno corrente, avanti cristo o assegno circolare?
Basta. Reclamo il ritorno e la vicinanza degli amici virgola e punto e virgola, del punto esclamativo e di quello interrogativo, i buoni, vecchi e cari segni di interpunzione utili a regolare il mio suono e quello delle sorelle che con me costruiscono il senso delle frasi, del discorso, del linguaggio.
Voglio ritornare a essere tutta, intera, globale e illimitata.
Esigo la rotondità della a e della o, l’esilità della i, l’occhiello della e, la pervietà della u.
Pretendo il mio potere definitorio e la chiarezza di ciò che esprimo, senza ricorrere a barbarismi, sigle o acronimi che deturpano il valore del mio sussistere.
E’ solo la parola che colora, rischiara, adombra, intensifica, indebolisce, accentua, attenua, illustra e interpreta la complessità di eventi e vissuti.
Solo io, la parola, posso raccontare.
Solo io, la parola, posso rivelare.
Solo io, la parola, posso essere parlata o scritta.
Solo io, la parola, nel momento in cui sono detta, letta o scritta, divento creatura vivente, pulsante, eterna.
Senza interruzioni, senza blocchi.
Mi amo.
Forse sono egocentrica, o forse un po’ senile. Vivo nel rimpianto delle tavolette di cera, delle strisce di papiro e dei rotoli di pergamena.
Sono vecchia, ma non voglio morire.
Gioca con me, umano, e condividi la mia protesta. Urlami:
“Ti guardo con riguardo”.
“Do un senso al tuo dissenso”.
“Mi gusto il tuo disgusto”.
“Fiuto il tuo rifiuto”.
Riprenditi la parola, per favore. Fammi ancora sentire unica, insostituibile, preziosa.
Perché finché ci sono io, ci sarai anche tu.
L’ha ripubblicato su TRACCE e SENTIERI.
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