Gradini

Mi piace contare i gradini che portano alla dimora estiva.

Nel sentiero della mulattiera ne conto settantasei, dolcemente intervallati per concedere respiro al passo. Sono il profumo del caprifoglio dell’estate imminente e il sapore delle more selvatiche dell’autunno incalzante ad accompagnare discese e salite, mentre il conteggio scandisce la distanza percorsa.

Mi piace contare i gradini. So che dal cancello sono nove quelli a immettermi sotto il cupolone delle viti, con i loro grappoli verdi e pesanti di un colore che muta insieme alle giornate più brevi.

E altrettanti gradini, dove talvolta rotolano piccole pigne, mi condurranno ai piedi del cipresso, maestoso, diritto a bucare il cielo e a proteggere pigolanti nidi di cince e pettirossi.

Mi piace contare i gradini. I nove di pietra incastrati fra gli oleandri e le sassifraghe sono meno battuti, ma pure fanno parte delle passeggiate serali, durante il saluto della buona notte ai respiri delle foglie e dei frutti.

Mi piace contare i gradini. Sulla costa di un monte glaciale ci si muove seguendo le balze e, come affermano uomini e donne invecchiati in questo angolo di mondo, non bisogna affannarsi.

Forse anche per questo mi piace contare i gradini, soprattutto quando li salgo: sfidare la fatica e percepire il senso della conquista, quando, arrivata all’ultimo, col muscolo dolente, inspiro appagata.

Mi piace contare i gradini. Anno dopo anno mi ricordano il tempo che scivola.

Ma ogni anno è bello contare i gradini che resistono, impavidi, al mio scendere e salire.

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